La caccia al tesoro è una commedia satirica che esplora con umorismo crudo e ironia tagliente come il motore principale del giudizio verso l’altro e dell’ipocrisia che sta dietro i proclami di una società contemporanea, aperta ed inclusiva, sia, in realtà, la paura di non poter realizzare se stessi e le proprie aspirazioni.
Questa la trama. Per un’anziana madre si avvicina il momento della fine e i suoi due figli, fratello e sorella, devono ritrovarsi per organizzare il possibile funerale e la divisione dei beni da ereditare. Al suo arrivo, la sorella viene accolta dalla badante straniera della madre e dal fratello. Nell’attesa dell’arrivo di una chiamata dall’ospedale, la giovane badante consegna loro un testamento olografo che inizia sibillinamente parlando di “tutti i miei figli”. La badante rivela d’essere stata adottata ufficialmente e quindi a tutti gli effetti risulta anch’essa titolare di una parte del patrimonio. Fratello e sorella non fanno in tempo a riprendersi dallo stupore che suona il citofono. La persona che arriva è un ragazzo di colore che dichiara anch’egli di essere stato adottato dalla madre qualche anno prima. I quattro pretendenti all’eredità, distanti per storia personale, convinzioni e valori, si trovano quindi a dover negoziare il loro patrimonio futuro: è possibile stabilire una priorità tra chi in quella casa è nato e chi in quella casa ha trovato solo un’accoglienza recente?
Il conflitto tra i quattro diventa quindi metafora di una società che per essere davvero inclusiva deve fare i conti col passato e superare la naturale inclinazione ad escludere i suoi membri più fragili. Ammesso che sia semplice individuare quali fragilità siano più importanti.