In Iliade, la ballata di Tersite gli occhi attraverso i quali i comportamenti dei grandi eroi vengono osservati sono proprio quelli di un uomo semplice. Un cuoco, che più di dieci anni prima si è imbarcato per una guerra che gli era stato promesso sarebbe stata “lampo” e che si sarebbe conclusa con un ritorno a casa glorioso e soprattutto ricco. Come spesso succede, quella guerra, la prima a livello mondiale che la storia dell’uomo ricordi, andò ben diversamente da quello che si era immaginato. Quello che però risulta particolarmente illuminante di questa cronaca è lo straordinario catalogo di errori di cui Omero ci mette a parte. Errori commessi da pochi a scapito di molti. Errori che, continuamente negati, si sommano a nuovi errori. Errori che trasformano eroi come Achille, Agamennone, Ulisse, in uomini non all’altezza delle responsabilità che si sono assunti. Il nostro protagonista incalza il pubblico come un moderno esercito di soldati che vorrebbe reagisse alle scelte sempre più folli di chi li comanda. La contesa tra Agamennone e Achille non è che il preludio di una tragedia di cui il popolo pagherà le conseguenze più dure. Vestendo i panni di un grillo parlante dalla voce troppo stridula e fastidiosa, il cuoco Tersite cerca di persuadere i compagni che in lui però non sembrano che ravvedere un povero storpio a cui non resta che imprecare per darsi coraggio. In un gioco al massacro dove l’unica cosa che conta è salvarsi la pelle, la ballata di Tersite alterna momenti comico/grotteschi all’inevitabile dramma che una guerra si porta dietro, in un incalzare di eventi che sembrano correre veloci verso un’unica quanto inevitabile considerazione: agli elefanti che litigano poco importa dell’erba che sotto il loro peso resta schiacciata.