Autopilot è la storia di due ragazze che si incontrano sul lavoro, fanno amicizia e poi si innamorano. La cronologia degli eventi della loro relazione, dal suo inizio alla sua fine, è raccontata in ordine sparso, permettendo allo spettatore di avere un livello di informazione più alto rispetto ai personaggi, e quindi di leggere in maniera diversa le loro azioni e le loro parole. Il testo mette in campo questioni insanabili come la differenza di classe, ma anche domande etiche legate all’intelligenza artificiale, nello specifico alle automobili a guida autonoma. “Chi salvare?” in caso di incidente inevitabilmente fatale; secondo quali criteri programmare la decisionalità dell’automobile? Non c’è veramente una risposta giusta.
Questo dilemma funge da cornice e metafora di come noi gestiamo le nostre relazioni e le nostre scelte di vita. Attraverso questa domanda senza risposta ci interroghiamo anche sul nostro modo di relazionarci all’altro, sul sacrificio a cui siamo o meno predisposti, su un egoismo di fondo che forse si cela dietro ogni nostra scelta, anche quella apparentemente più altruista e sulla solitudine dalla quale non riusciamo ad evadere.
Le due attrici sono in scena da sole, in uno spazio vuoto che permette il fluire dei continui salti temporali e spaziali del testo. A loro il compito, con la sola recitazione, di guidarci nei frammenti dei ricordi della storia di Nic e Rowan.
Autopilot é una metafora che ci parla di incertezza: basta una riga di codice per influenzare il comportamento di un veicolo così come basta una decisione sbagliata per determinare come andranno le nostre vite. Crediamo nell’importanza di parlare di questa incertezza, che pervade la nostra generazione e ci coinvolge tutti.