C’è una storia poco raccontata, se non addirittura ignorata: quella degli omosessuali che, durante il Fascismo, vengono confinati in isole di detenzione in nome della purezza della razza e del costume.
A Catania in particolare, nel solco delle leggi razziali, nel 1939 il questore Molina ordina retate di uomini e ragazzi della città, li incarcera, li sottopone a interrogatorio, li condanna al confino e li spedisce alle isole Tremiti, dove sconteranno una pena di cinque anni, lontano da tutto.
C’è poi una storia che conosciamo poco, perché non è una nostra storia: quella degli omosessuali che, sotto il Franchismo in Spagna, vengono sottoposti a rieducazione forzata come da legge di Pericolosità Sociale del 1970, secondo la quale l’omosessualità deve essere curata in centri dedicati, tutti all’interno di specifiche carceri, come quelli di Carabanchel a Madrid o di Badajoz in Estremadura.
Ci sono infine le storie di oggi, che una conclusione non l’hanno ancora avuta, come quella della procura di Padova che, nella primavera del 2023, ha impugnato gli atti di nascita di 33 bambini nati da coppie omogenitoriali composte da due madri.
Queste vicende realmente accadute ispirano le storie che si incontrano in questo spettacolo, quelle di Francesco, un giovane di Catania confinato alle Tremiti nel 1939; Amparo, madre di Valencia che denuncia il figlio alle forze dell’ordine nel 1970; Aurelia, donna italiana di oggi che rischia di perdere la genitorialità del figlio in un momento per lei molto delicato.